Ricordo che dovevo scavalcare la recinzione (nella quale m’impigliavo puntualmente), raggiungere la finestra della sua camera e bussare al balcone di legno.

Lei rispondeva e usciva.

Così tutta la compagnia si riuniva e, come uno stormo di cavallette, procedeva a combinar minchiate.

Eravamo quindicenni o poco più.

Se il balcone era socchiuso, potevo anche aprirlo per dire:- Dai Jenny, muoviti che siamo tutti qua; andiamo!”.

Quella sera era già uscita quando ho aperto il balcone e si trovava a casa di un’amica.

Aprendo il balcone ho trovato suo padre che cavalcava sua madre, in un anal di prima categoria.

Una cosa degna di nota.

Loro si sono accorti di me ma hanno proseguito.

Si fossero fermati, li avrei insultati.

Chissà però come si sono sentiti quando mi hanno raggiunto sotto al lampione dove tutta la compagnia di quindicenni ormonalmente esplosivi si trovava, per giustificarsi.

Chissà come si è sentita lei quando mi ha detto innocentemente:- Non pensare male: mi stava semplicemente curando un brufolo sulla schiena…”.-

Non sapevo che con una cappella nel buco del culo i brufoli esplodessero allegramente, come piccoli petardi da veglione.

 

E chissà come si sono sentiti i giudici che hanno sentenziato che Stefano Cucchi è morto di denutrizione.

Da oggi si dovrà dire: -Giovane malmenato fino alla fame-.

E io preferisco chi fa all’amore col culo, rispetto a quelli che picchiano.

Ragionando col culo, intendo.

Tipo.

 

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